Ricercatore, propulsore.
Nato a Torino 1959
Ricercatore dall’80, ha avuto un infanzia serena, tipo riflessivo, proveniente da una famiglia operaia di sani principi morali.
Nella giovinezza ha avuto una formazione elettrica e elettronica, cui ha avuto basi tecniche per capire fin da subito i principi fisici del cosmo.
Andando avanti nell’età ebbe esperienze trascendentali interiori, cui interessano unicamente il suo Essere.
Non proprio incline alle istituzioni… si ribella alle imposizioni , apprende una formazione teosofica , antroposofica, teorico pratica gnostica.
Dopo i 30 anni conosce Maestri dei misteri Maggiori di elevato grado interiore, cui gli permettono di capire che è sulla strada giusta.
Però deve vivere la vita e procedere alla sua formazione per ciò che dovrà compiere
Ottocento anni ovvero δέκατος ένατος αιώνας – dékatos énatos aiónas,quanto suonano foneticamente i secoli sommati secondo il suono dell’arte – così passati dalla scomparsa del nostro Sommo Poeta-Profeta.
Gli Ottocento anni non sono cosa da poco per quanti hanno impegnato da Petrarca in poi la passione e la mente per illuminare il pensiero dantesco.Esegesi somma con rigo dopo rigo sino a diventare un pilastro universale della cultura antica sino a quella moderna, apoteosi e arco di trionfo di destini per la straordinaria abilità che il calamo umano abbia stilato. Bene concepito da poema trascendentale, imitatissimo e magistrale, che molti hanno appassionatamente divorato da cibo e virtute e conoscenza – entrando nella sfera dei giorni infernali, purificatori della catarsi per finalmente risalire ai sommi cieli del Paradiso o Empireo dimora della Onnipotente Divinità.
L’Uomo ha tracciato e raccontato il suo Viaggio diversamente da Odisseo nelle regioni di un geografia prima infernale,ad…
Quando una persona si dimentica del suo proprio Essere, reagisce violentemente. Se una persona si dimentica del suo proprio Essere in presenza di una bottiglia di vino, termina ubriaca; se si dimentica del suo proprio Essere in presenza di una persona del sesso opposto, finisce fornicando; se si dimentica del suo proprio Essere Interiore Profondo in presenza di un insultatore, termina insultando”. “La cosa più grave nella vita è dimenticarsi di se stesso. Cosicché è necessario trasformare le impressioni, e questo è possibile solo INTERPONENDO L’ESSERE tra le diverse vibrazioni del mondo esteriore e la mente. Quando qualcuno interpone tra le impressioni e la mente quello che si chiama la COSCIENZA, è ovvio che le impressioni si trasformano in FORZE E POTERI DI ORDINE SUPERIORE”. “È molto facile interporre la Coscienza tra le impressioni e la mente. Per ricevere le impressioni con la Coscienza, e non con la mente, si necessita solo NON DIMENTICARSI DI SE STESSI in un istante dato. Se qualcuno in qualsiasi momento ci dice qualcosa che ferisce l’amor proprio, l’orgoglio, la superbia, ecc., in quegli istanti soltanto l’ESSERE deve stare in noi; dobbiamo rimanere CONCENTRATI nell’ESSERE; perché sia l’ESSERE, la Coscienza Superlativa dell’ESSERE, colei che riceva le impressioni e le digerisca correttamente. Così si evitano le orripilanti reazioni che tutti, gli uni e gli altri, hanno davanti agli impatti provenienti dal mondo esteriore. Così si trasformano completamente le impressioni, e tra- sformate, ci sviluppano meravigliosamente”.
“L’IMPATTO” si relaziona con quelle impressioni che sono tutto quanto conosciamo del mondo esteriore, che stiamo ricevendo, che prendiamo come se fossero le vere cose, le vere persone. Abbiamo bisogno, poi, di trasformare la nostra vita, e questa è INTERNA. Al voler trasformare questi aspetti psicologici della nostra vita, ovviamente dobbiamo lavorare sulle impressioni… Perché chiamiamo noi, il lavoro sulla trasformazione delle impressioni, il “PRIMO IMPATTO COSCIENTE”? Per un solo motivo: perché, semplicemente, è qualcosa che in nessuna maniera potremmo effettuare in forma meramente meccanica. Questo non succede mai meccanicamente, è necessario uno sforzo auto-cosciente. Bisogna cominciareanche a smettere d’essere un uomo meccanico che serve, esclusivamente agli interessi della Natura; una creatura assolutamente addormentata, che semplicemente non è altro che una “impiegata” della Natura, per i fini economici della stessa, i quali non servono, in nessuna maniera, agli interessi della nostra propria Auto- Realizazione Intima. Se voi cominciate adesso a comprendere il significato di tutto quanto stiamo insegnando; se pensate adesso al significato di tutto quanto viene insegnato e fare per via del proprio sforzo (cominciando dall’OSSERVAZIONE DI SE STESSO), vedrete senza dubbio, che il lato pratico del lavoro esoterico, si relaziona tutto con la trasformazione delle impressioni e ciò che risulta, naturalmente, dalle stesse. Il lavoro, per esempio sulle emozioni negative, sugli stati d’animo disgustosi, sulla questione dell’IDENTIFICAZIONE, sull’autoconsiderazione, sugli “IO SUCCESSIVI”, sull’auto-giustificazione, sulla discolpa e sugli stati incoscienti in cui ci troviamo, si relaziona tutto con la trasformazione delle impressioni e da ciò che ne risulta. Voglio che voi riflettiate profondamente su questo, che comprendiate ciò che è il “PRIMO IMPATTO COSCIENTE”. È necessario formare uno STRUMENTO DI CAMBIAMENTO nel luogo di entrata delle impressioni (non lo dimenticate!). Se mediante la comprensione di tutto questo voi potete accettare la VITA COME LAVORO REALMENTE ESOTERICO, allora sarete in uno stato costante di RICORDO DI VOI STESSI. Questo stato di Coscienza di Se Stessi, vi porterà sul terreno vivente della trasformazione delle impressioni, e così, naturalmente, a quello di una vita diversa, cioè, la vita già non agirà più su tutti voi come faceva prima; voi comincerete a pensare e a comprendere in una forma nuova, e questo è l’inizio, chiaramente, della vostra propria trasformazione. Mentre se voi continuate a pensare alla stessa maniera, prendendo la vita alla stessa maniera, è chiaro che non ci sarà nessun cambiamento in voi… Trasformare le impressioni della vita, significa trasformare se stessi, miei cari amici, e solo una maniera di pensare interamente nuova, lo può effettuare. Tutto questo lavoro, poi, si dirige verso una forma radicale di trasformazione. Se una persona non si trasforma, non raggiunge nulla. Comprenderete voi che la vita esige da noi continuamente una reazione. Tutte quelle reazioni formano la nostra vita personale. Cambiare la vita di qualcuno, non è cambiare le circostanze meramente esterne, è cambiare realmente le proprie reazioni. Però se non vediamo che la vita esteriore ci arriva come mere impressioni che ci obbligano incessantemente a reagire in una maniera, diremo, più o meno stereotipata, non vedremo dove inizia il punto che realmente dia la possibilità del cambiamento, e dove è possibile lavorare. Le reazioni, che formano la nostra vita personale, sono quasi tutte di tipo negativo. Allora anche la nostra vita sarà negativa, non sarà niente di più che una serie successiva di reazioni negative, che diamo come risposta incessante alle impressioni che arrivano alla mente. Dopo, il nostro compito consiste nel trasformare le impressioni della vita, in modo che non provochino questo tipo di reazioni negative alle quali siamo tanto abituati. Però, per riuscire in questo, è necessario AUTO-OSSERVARCI d’istante in istante, di momento in momento. Così le impressioni non arrivano a noi in un modo meccanico; questo equivale a cominciare a vivere più coscientemente. Un individuo può permettersi, darsi il lusso di ricevere le impressioni meccanicamente, però se una persona non commette somigliante errore, se trasforma le sue impressioni, allora comincia a vivere coscientemente. Perciò si dice che questo è il “PRIMO IMPATTO COSCIENTE”. IL PRIMO IMPATTO COSCIENTE si radica, dunque, nella trasformazione delle impressioni che arrivano alla mente. Se una persona riesce a trasformare le impressioni che arrivano alla mente, nel momento stesso della loro entrata, si può sempre lavorare sul risultato delle stesse. Chiaro è che, al trasformarle, evitiamo che producano i loro effetti meccanici, che sempre sogliono essere disastrosi nell’interiore della nostra psiche.
Non trasformare le impressioni equivale a creare “Io”. Non solo abbiamo gli “Io” che possediamo, quelli che portiamo da esistenze anteriori, ma ciò che è peggio: stiamo creando tutti i giorni nuovi “Io”, e questo è lamentabile. Smettere di creare “Io”, è indispensabile. Questo è possibile, unicamente, “digerendo”, “trasformando” le impressioni. E come “digerirle”? In che modo? Come trasformarle in qualcosa di diverso? Sarebbe possibile questo? Sì, è possibile! Come? Mediante la Coscienza. Se interponiamo tra le impressioni e la mente quello che si chiama “Coscienza”, le impressioni si “trasformano”. Normalmente, le impressioni feriscono la mente e la mente allora reagisce contro l’impatto proveniente dal mondo esteriore: se ci picchiano, picchiamo; se ci insultano, insultiamo; se ci incitano a bere, beviamo, ecc.; la mente reagisce sempre agli impatti provenienti dal mondo esteriore. Dobbiamo evitare tale reazione, e questo sarebbe possibile, solamente, interponendo la Coscienza tra la mente e le impressioni. Ci sarebbe una forma, una tecnica, qualche pratica che permettesse di utilizzare la Coscienza interponendola fra le impressioni e la Mente? Esiste una chiave che ci permetta di usare la Coscienza in questa maniera, affinché sia la Coscienza a ricevere le impressioni e non la mente? Perché quando la Coscienza riceve le impressioni, le “digerisce”, inevitabilmente, le trasforma in qualcosa di distinto; però quando non è la Coscienza a riceve le impressioni, ma la mente, allora succede che la mente, e tutti gli “Io” che sono in essa, reagiscono contro gli impatti provenienti dal mondo esteriore, reagendo violentemente, in maniera meccanica. Come usare, dunque, la Coscienza? Come utilizzarla, in che modo, affinché sia essa, e nient’altro che essa, a ricevere le impressioni e a trasformarle? Vi dirò la chiave molto semplice: MAI DIMENTICARSI DI SE STESSI, DEL NOSTRO PROPRIO ESSERE. Perché se una persona si dimentica del suo proprio Essere Interiore in presenza di un insultatore, termina insultando; se si dimentica di se stesso, del suo proprio Essere in presenza di una coppa di vino, termina ubriaco; se si dimentica di se stesso, del suo proprio Essere in presenza di una persona del sesso opposto, termina fornicando. Quando una persona impara a vivere in stato di ALLERTA PERCEZIONE, di ALLERTA NOVITÀ; quando si ricorda di se stessa d’istante in istante, di momento in momento; quando mai si dimentica di se stessa, indubbiamente torna ad essere cosciente. Se una persona non si dimentica di se stessa, in presenza di un insultatore, se non si dimentica del suo proprio Essere, allora trasforma queste impressioni perverse in una forza differente. Se una persona non si dimentica di se stessa in presenza di una coppa di vino, trasforma quest’impressione, questa “energia” chiamata IDROGENO-48 in qualcosa più sottile, in un IDROGENO-25
Se una persona non si dimentica di se stessa in presenza di una forte somma di denaro, trasforma quest’impressione, successivamente, in IDROGENI-24, 12 e 6. Cosicché, NON DIMENTICARSI DI SE STESSI è la chiave che ci permette di maneggiare intelligentemente la Coscienza. Quando una persona non si dimentica di se stessa, interpone tra la mente e le impressioni, ciò che si chiama “Coscienza”. Ciò che è bello è che sia la Coscienza a ricevere le impressioni che vengono dal mondo esteriore, perché la Coscienza può trasformarle in qualcosa di differente: in elementi creatori, in elementi superlativi dell’Essere, in forze diamantine che servono allo sviluppo dei “Chakra”, in molteplici forze che servono allo sviluppo di certi poteri che esistono nella nostra costituzione interna. È necessario, poi, sapere che tutti gli “Io” che attualmente abbiamo, sono il risultato di impressioni NON DIGERITE, NON TRASFORMATE, e questo è lamentabile. Disgraziatamente, le genti non si ricordano di se stesse mai; è per questo che le impressioni arrivano alla nostra Mente e permangono così, completamente non trasformate, dando origine (come è naturale) agli “aggregati psichici”, agli “Io”. Qualcuno potrebbe darsi il lusso di dissolvere tutti gli “Io”, però se si dimentica di se stesso, ritorna a creare nuovi “Io” (ecco la gravità). Il ricordo di se stessi, è qualcosa di estremamente interessante. Quando qualcuno si ricorda di se stesso, dà origine a forze differenti da quelle dei suoi simili: forze distinte, forze che rendono un soggetto completamente differente dagli altri. Interessante risulta sapere poi, che coloro che creano tali forze sono diversi, che persino i loro potenziali vitali sono differenti. Se mettessimo due soggetti in un posto inospitale, con cattiva alimentazione, mal ambiente, ecc., l’uno, che mai si ricorda di se stesso, che vive una vita meccanicista, e l’altro, che sempre si ricorda di se stesso di momento in momento, che mai dimentica il suo proprio Essere Intimo, potete voi essere assolutamente sicuri che il primo morirà prontamente e che il secondo vivrà malgrado l’ambiente inospitale, perché è circondato da forze diverse da quelle di cui sono circondati gli altri… Tutto il problema della liberazione ha come fondamenta la trasformazione e la trasformazione ha per basamento il sacrificio. Se osserviamo per esempio un uovo (sia quello di un serpente, o di un uccello), vediamo lì possibilità latenti, suscettibili di sviluppo. Tali possibilità diventano un fatto mediante la trasformazione. Il fuoco dei camini, quello che ci riscalda durante i giorni d’inverno, è il risultato della trasformazione. La digestione in noi, è tutto un processo di trasformazione mediante il quale è possibile esistere. La trasformazione dell’aria dentro i polmoni, è un altro processo di trasformazione, e se vogliamo trasformarci psicologicamente, abbiamo bisogno di trasformare anche le impressioni, cioè, trasformare la terza classe d’alimento. Ripeto: tutti gli avvenimenti della vita che arrivano alla mente, vengono a noi sotto forma di impressioni. Questi paragrafi che voi state leggendo pazientemente, come vi stanno arrivando? È ovvio che vi giungono come impressioni, e cosa dovrete fare per trasformarle correttamente? Non dovete dimenticarvi di voi stessi; non vi dimenticate del vostro proprio Essere; così fortificherete l’anelo di arrivare a lui. Colui che ascolta la parola e non la mette in pratica, è simile all’uomo che si guarda allo specchio e dopo dà le spalle e si ritira. Non basta ascoltare la parola; bisogna trasformarla; questa è la cosa fondamentale. Osserva lettore quanto importante è questo evento che si chiama “IMPRESSIONI”! Non possiamo vivere neanche un secondo senza le impressioni, né un millesimo di secondo. Così, quindi, vale la pena di trasformarle in qualcosa di distinto: in poteri, in luce, in fuoco, in armonia, in bellezza… Ma, se non le trasformiamo, ripeto, si convertono, semplicemente, in nuovi “aggregati psichici”, in nuovi “Io”… È necessario essere più riflessivi. Cosa siamo noi, veramente? Così come ci troviamo, senza “trasformare” impressioni, creando nuovi “Io” di secondo in secondo, d’istante in istante, non siamo più che semplici macchine, controllate da “aggregati psichici”. Viviamo in un mondo di grande attività, dove tutti credono che FANNO e NESSUNO FA NIENTE: tutto ci AC-CA-DE, come quando piove, come quando tuona. Perché? Semplicemente perché non abbiamo incarnato l’Essere. Solo l’Essere può fare; lui FA, ed il vero uomo è l’Essere; però se la macchina agisce, agisce qualcosa che non è l’Essere; sta attuando un robot programmato con un computer meraviglioso che si chiama “cervello”, sta attuando meccanicamente. NON STA FACENDO, STA ATTUANDO (una cosa è FARE e un’altra è ATTUARE). Qualunque macchina attua, si muove, cammina, compie le sue funzioni, perché è una macchina ed è stata programmata per compiere le sue funzioni, però FARE è qualcosa di diverso: solo l’Uomo può fare e l’Uomo vero, è l’Essere. È necessario distinguere tra l’Uomo vero, che è l’Essere, e la macchina (la macchina non è l’Essere). “L’animale intellettuale” è un robot programmato e il suo cervello è un computer meraviglioso, un computer che si sostiene da se stesso, un computer che matematicamente calcola, con esattezza precisa; un computer che registra le onde visuali e le onde sonore, che registra l’esteriore e l’interiore, che si fornisce da se stesso. È un computer “di prima qualità”, meraviglioso, però è questo e niente più di ciò: un computer. Dopo questo computer viene l’organismo fisico e il computer lo utilizza per andare e venire, ecc. Tale computer è in mano all’Ego, non all’Essere, e l’Ego è il risultato di molte impressioni “non digerite”. Allora ciò che attua qui, in questo mondo doloroso in cui viviamo, è una macchina provvista di un gran computer. Qui non sta attuando l’Essere, ma la macchina. Possiamo dire che la macchina è umana e l’Essere è l’Essere. Che cos’è realmente, ciò che chiamiamo “vita”? Certamente, è come una pellicola. Sì, e quando arriva l’ora della morte, ritorniamo al punto di partenza di questa pellicola e ce la portiamo per l’Eternità. Al ritornare, al tornare con questo Ego, una persona vive, attua con la sua pellicola. Al ristrutturarsi con un nuovo organismo, una persona proietta nuovamente la propria pellicola sullo schermo dell’esistenza. E che cosa proietta? La sua vita. Quale? Quella di sempre, la stessa che ebbe nell’esistenza anteriore; cioè, ripete lo stesso che fece nella passata esistenza e nelle passate esistenze. Tutto ciò che una persona proietta, di fatto è programmato, dalla nascita, nel cervello. Cosicché noi siamo ROBOT PROGRAMMATI; l’Essere non interviene affatto in tutta questa tragedia, egli non si mette in questi assunti. L’Essere di ognuno di noi si muove liberamente nella “Via Lattea”. Esistono e vivono qui, in questa “Valle” dolorosa della vita, un mucchio d’ombre, provviste d’organismi fisici. E che cosa FANNO questi organismi? Niente! Si muovono meccanicamente, d’accordo con il programma che è stato depositato nel cervello (non dico soltanto nel cervello fisico, ma nei tre cervelli: nell’Intellettuale, nell’Emozionale e nel Motore). E l’Essere, cosa fa mentre noi stiamo qui soffrendo, piangendo, andando al lavoro per raggiungere il denaro per l’affitto, per un abito, ecc.? Egli vive felice nella “Via Lattea”, si muove liberamente nella “Via Lattea”. Allora, cos’è que- sta dolorosa esistenza di cui siamo portatori? Pura illusione, qualcosa di vano! Con giusta ragione dicono gli indù che questo mondo è solo “MAYA”, che questo mondo è illusorio, che non ha nessun valore. Abbiamo bisogno d’avere esistenza reale, perché ancora non l’abbiamo. Forse l’amabile lettore si vanta d’avere esistenza reale? Per averla dobbiamo smettere d’essere robot, e possiamo smettere d’essere questo eliminando tutti gli “aggregati psichici”, questo è ovvio. Tuttavia sapere che dobbiamo eliminare gli “aggregati psichici”, non è tutto; è necessario SMETTERE DI CREARE NUOVI AGGREGATI e giornalmente li stiamo creando, nel “non trasformare”, le impressioni. È necessario “digerire” le impressioni, trasformarle in forze diverse per non creare nuovi “Io”. È anche necessario “trasformare” le vecchie impressioni, quelle che diedero origine agli “Io” che abbiamo attualmente, e questo è possibile attraverso l’AUTO-RIFLESSIONE. Quando una persona “trasforma” le vecchie impressioni che sono depositate nei cinque cilindri della macchina (in forma d’abitudini, emozioni inferiori, pensieri negativi, istinti depravati, abusi sessuali, ecc.), allora disintegra questi “elementi inumani”.
L’IMPORTANZA DELLA TRASFORMAZIONE “L’animale intellettuale vuole smettere di soffrire, però non fa niente per cambiare, non lotta per passare ad un livello superiore dell’Essere, quindi, come potrà mai cambiare?”. “Tutti i fenomeni sono discontinui; il dogma dell’Evoluzione non serve a nulla, se non per immobilizzarci. Io conosco molti pseudo- esoteristi, gente sincera e di buon cuore, imbottigliata nel dogma dell’Evoluzione, essi aspettano che il tempo li perfezioni e nonostante passino milioni d’anni mai si perfezionano. Perché? Perché tali persone non fanno niente per cambiare il proprio livello dell’Essere, rimangono sempre sullo stesso scalino. Allora è necessario passare al di là dell’Evoluzione e metterci nel cammino rivoluzionario, nel cammino della Rivoluzione della Coscienza o della Dialettica”. Samael Aun Weor: “La Rivoluzione della Dialettica” È necessario comprendere che l’importante per noi è raggiungere la trasformazione della vita, e questo è possibile se uno se lo propone profondamente… “Trasformazione” significa che una cosa cambia, si trasforma in un’altra differente. È logico che tutto è sottoposto a cambiamenti. Esistono trasformazioni molto conosciute della materia; nessuno potrebbe negare, per esempio, che lo zucchero si trasforma in alcool, che l’alcool, a sua volta, si converte in aceto per l’azione dei fermenti (questa è la trasformazione di una sostanza molecolare in un’altra sostanza molecolare). Una persona sa, grazie alla nuova chimica degli atomi e degli elementi, che il radio, per esempio, si trasforma lentamente in piombo. Gli alchimisti del Medioevo parlavano della “trasmutazione del piombo in oro”. Tuttavia, non sempre alludevano alla questione metallica, meramente fisica. Normalmente volevano indicare la trasmutazione del “piombo della personalità”, nel “oro dello spirito”. Nei Vangeli, l’idea “dell’Uomo terreno”, comparato questi ad un seme capace di crescere, ha lo stesso significato. Tuttavia, è ovvio che se il grano non muore, la pianta non nasce. In ogni trasformazione esiste MORTE e NASCITA, o MORTE e RESURREZIONE. L’uomo è una macchina capace di trasformare certi alimenti che arrivano a lui per continuare a sussistere. Gli alimenti che penetrano nel nostro organismo, si dividono in tre categorie. Il primo tipo d’alimento lo possiamo denominare “cibo”. Indiscutibilmente, c’è uno strumento che permette di trasformare questi principi vitali in alimenti che entrano attraverso la bocca. Mi riferisco allo stomaco. Se non fosse per lo stomaco, non sarebbe possibile la trasformazione della prima classe di alimenti. Tuttavia, l’alimento che entra attraverso la bocca non è il più importante. Sappiamo bene come si trasformano gli alimenti mediante la digestione; non c’è dubbio che in questa sintesi, i principi vitali rimangono depositati nel sangue ed esso li dirige a tutti gli organi del corpo. Nonostante l’importanza di tutto ciò, qualcuno può rimanere tranquillamente qualche tempo senza mangiare. Mahatma Gandhi poteva permanere persino quaranta giorni senza mangiare, ed ancora di più: arrivò fino due e tre mesi senza mangiare. Questo dimostra che non è l’alimento maggiormente importante. La seconda classe d’alimento è il “PRANA”, che entra nel nostro corpo fisico con l’ossigeno; è quell’alimento che penetra dalle porte della respirazione, e indiscutibilmente, esiste un organo, e organi speciali per la trasformazione di tale alimento che entra attraverso il naso. Così, dunque, l’aria, mediante i polmoni, si trasforma in ossigeno, e quest’ossigeno (il “PRANA”) si deposita posteriormente in tutto il torrente sanguino. La respirazione, come alimento che entra per la bocca è maggiormente importante rispetto a quello che va allo stomaco, perché come ho già detto potremmo vivere senza mangiare circa fino ad un mese, però non potremmo vivere molto tempo senza respirare. Normalmente si può vivere senza respirare un minuto o due, e alcuni arrivano fino tre. Qualcuno potrebbe vivere senza respirazione anche più di quattro minuti (mediante allenamento), però indiscutibilmente, al di là di quel piccolo tempo limitato, se non respiriamo moriamo. È dunque più importante, in realtà, la respirazione rispetto al cibo fisico. E per ultimo esiste una terza classe d’alimento, che di fatto è ancora più importante.
Mi riferisco, in forma enfatica, alle IMPRESSIONI. Indiscutibilmente, non potremmo vivere nemmeno un solo secondo dell’esistenza, se non esistessero le impressioni. Non possiamo vivere, neanche un secondo, senza ricevere impressioni. Cos’è una “impressione”? Tutto ciò che possiamo percepire, qualsiasi immagine, suono, odore, sensazione, sapore, stimolo, ecc., è una “impressione”. Tutto quel mondo esteriore che ci circonda, noi lo percepiamo attraverso le diverse “impressioni” che penetrano attraverso i nostri sensi. Il nostro organismo si nutre, in maniera speciale con le impressioni. Se l’aria non facesse impressioni sui nostri polmoni e nel nostro sangue, non potremmo vivere; se il cibo non arrivasse ad impressionare lo stomaco e i condotti intestinali, nemmeno potremmo vivere. Cosicché le impressioni sono fondamentali. Disgraziatamente a differenza di ciò che accade con il cibo e l’aria che respiriamo, non possediamo un organo capace di TRASFORMARE le impressioni, non c’è un organo per la digestione e la trasformazione delle impressioni. Quando mangiamo il cibo, tanto necessario per la nostra sussistenza, questo è trasformato in tutti quegli elementi vitali, tanto indispensabili per la nostra esistenza. Se un alimento, per esempio, passasse per lo stomaco e non si trasformasse, l’organismo non potrebbe assimilare i suoi principi, le sue vitamine, le sue proteine; sarebbe, semplicemente, indigeribile. Se l’aria tale come ci circonda, non subisse una trasformazione prima d’arrivare al sangue, che succederebbe? Succederebbe che moriremmo. Così, dunque, come comprenderete, tutto ha bisogno di passare attraverso una TRASFORMAZIONE. È chiaro che gli alimenti si trasformano, però, perché non esiste anche una trasformazione delle impressioni? Per il fine della Natura non c’è nessuna necessità che “l’animale intellettuale”, trasformi le proprie impressioni. Ciononostante, se vogliamo smettere d’essere semplicemente “animali intellettuali” e convertirci in veri “uomini” dobbiamo imparare come trasformare le impressioni, e questo è possibile se si possiede la conoscenza esoterica di fondo, e si comprende il perché di questa necessità.
La maggior parte delle genti, nel terreno della vita pratica, credono che questo mondo fisico darà loro ciò che anelano, ed ecco qui, mie stimabili amici, un tremendo sbaglio. La vita, in se stessa, manca di senso trascendente ed è necessario trasformarla in qualcosa di superiore. Tuttavia, una persona non potrebbe realmente trasformare la sua vita se prima non trasformasse le sue impressioni. Non esiste realmente la questione della “vita esterna”. Questo che diciamo è molto rivoluzionario, poi tutto il mondo crede che il mondo fisico è il reale, però se andiamo un pochino più a fondo, ciò che realmente stiamo percependo, ad ogni istante, sono meramente le impressioni. La vita è una SUCCESSIONE D’IMPRESSIONI, e non come credono molti “ignoranti istruiti”, una cosa solida, fisica, di tipo esclusivamente materiale. La realtà della vita per noi sono le sue impressioni. L’idea che stiamo emettendo risulta certamente difficile da catturare. È possibile che voi abbiate la certezza che la vita che avete esista come tale, e non come le sue impressioni. Siamo tanto suggestionati dal mondo fisico, che ovviamente così pensa la gente. La persona che vediamo seduta, per esempio, su una sedia, colui che ci sorride più in là, il bambino che gioca con la bicicletta, l’uccello che allegro canta sul ramo, ecc., è per noi qualcosa di reale, vero? Però se meditiamo profondamente in tutto ciò che vediamo, arriviamo alla conclusione che il reale sono le impressioni. Queste, come ho già detto, arrivano alla mente attraverso le finestre dei cinque sensi. Se non avessimo, per esempio, occhi per vedere, né udito per udire, né tatto per toccare, né olfatto per odorare, o neanche gusto per assaggiare gli alimenti che entrano nel nostro organismo, esisterebbe per noi questo che si chiama “mondo fisico”? È chiaro che no! Tutti gli avvenimenti della vita arrivano alla mente in forma d’impressione, tutti gli eventi arrivano al cervello in forma d’impressione. L’allegria, la tristezza, la speranza, la disperazione, i problemi, le preoccupazioni, ecc., arrivano alla mente in forma di impressioni. Qualsiasi circostanza, qualsiasi avvenimento, per insignificante che sia, arriva sempre alla Mente in forma di impressioni.
Con questi versi Dante descrive la Fenice, uno dei simboli più affascinanti della mitologia egizia: gli egizi identificavano questo maestoso airone con Bennu (dal verbo benu, “splendere”, “brillare”, “puntare al cielo”, “librarsi in volo”).
Consacrato al dio Ra, associato alle piene del Nilo (raffigurato come l’Airone che si posava sulla sommità delle rocce che sbucavano dopo l’inondazione del Nilo), il suo ritorno annunciava un nuovo periodo di ricchezza e fertilità.
Simbolo della nascita e della risurrezione dopo la morte, quindi dell’eternità della vita, secondo gli Egizi la Fenice era nata sotto l’albero del bene e del male, e sapeva che era necessario rinascere periodicamente per acquisire maggiore saggezza e potenza.
Volava quindi per tutto l’Egitto alla ricerca degli elementi più raffinati per costruirsi un nido: bastoncini di cannella, di quercia, nardo e mirra.
Al termine del suo ciclo di vita, lungo 500 anni, si sistemava nel suo nido, intonava una delle melodie più aggraziate che gli egizi potessero mai udire, per poi lasciare che i profumi le dessero una dolce morte mentre il sole bruciava gli arbusti, lasciandosi divorare dalle fiamme.
Tre giorni dopo, Fenice rinasceva dalla cenere piena di forza e potere, prendeva il suo nido e lo lasciava a Eliopoli (secondo un’altra versione la cenere, assieme alla mirra, prendeva la forma di un uovo), nel Tempio del Sole, per iniziare così un nuovo ciclo che fosse una fonte d’ispirazione per il popolo egiziano.
Come l’airone che spiccava il volo sembrava mimare il sorgere del sole dall’acqua, la Fenice venne associata col sole e rappresentava il ba (“l’anima”) del dio del sole Ra, di cui era l’emblema, tanto che nel tardo periodo il geroglifico del Bennu veniva impiegato per rappresentare direttamente Ra.
Si dice che il Bennu abbia creato sé stesso dal fuoco che ardeva sulla sommità del sacro salice di Eliopoli. Proprio come il sole, che è sempre lo stesso e risorge solo dopo che il sole “precedente” è tramontato, di Fenice ne esisteva sempre un unico esemplare. Da qui l’appellativo “semper eadem“: sempre la medesima.
Quale simbolo del sole che sorge e tramonta, la Fenice presiedeva al giubileo regale. Ed essendo colei che ri-sorge per prima, venne associata al pianeta Venere, che appunto veniva chiamato “la stella della nave del Bennu-Asar”, e menzionata quale Stella del Mattino nell’invocazione:
“Io sono il Bennu, l’anima di Ra, la guida degli Dei nel Duat. Che mi sia concesso entrare come un falco, ch’io possa procedere come il Bennu, la Stella del Mattino… cantando così divinamente da incantare lo stesso Ra.”
La simbologia della Fenice, con la sua vittoria sulla morte e la rinascita dalle proprie ceneri, ben si addice alla figura di Gesù Cristo, presumibilmente per via del fatto che tornava a manifestarsi tre giorni dopo la morte, e come tale venne adottata quale simbolo paleocristiano di immortalità, resurrezione e vita dopo la morte.
La simbologia dell’airone purpureo (dal greco Φοῖνιξ, Phoenix, “rosso porpora”) degli Egizi è collegata ad una delle tre fasi della Grande Opera dell’alchimia, la Rubedo, su cui tanto si è focalizzato il pensiero di Carl Gustav Jung.
La Fenice rappresenta la fase finale del processo alchemico e gli alchimisti riposero in essa il significato della spiritualizzazione completa, della rinascita della personalità, risultato finale della Grande Opera.
Essendo la Fenice capace di elevarsi dalle ceneri della propria distruzione, rappresenta il congiungimento dell’inizio e la fine di ogni ciclo. Il compimento della Rubedo segna la realizzazione della Pietra Filosofale, una sostanza in grado di conferire l’immortalità, di acquisire l’onniscienza e di trasmutare i metalli vili in oro.
Le trasmutazioni alchemiche rappresentano una metafora dei cambiamenti che avvengono nell’ambito dell’interiorità umana. In questa prospettiva la Rubedo rappresenta l’accettazione da parte dell’individuo dell’ombra e delle sue contraddizioni più profonde.
Carl Gustav Jung ha evidenziato che la Fenice, per le caratteristiche ben note, simboleggia il potere della resilienza, l’ineguagliabile abilità di rinascere molto più forti, coraggiosi e luminosi.
Jung ha dunque descritto l’ultima fase del processo alchemico come la piena realizzazione del processo di individuazione, finemente associabile al simbolo della Fenice che grazie alla distruzione della sua “vecchia natura” è ora libera di rinascere con uno spirito rinnovato e reso sottile, etereo, dalle fiamme trasmutanti e sublimanti del fuoco.
C’è una locuzione latina che viene assimilata all’immagine della Fenice: “Post Fata Resurgo”, che si può tradurre “Dopo la Morte Risorgo”: l’immortalità non si fonda sulla negazione della morte ma sulla sua potenza rigeneratrice attraverso le fiamme purificatrici. Il potere della Fenice deriva quindi non dall’annullamento del declino ma dalla sua capacità di accoglierlo e di trasformarlo, o meglio, trasmutarlo per usare un termine proprio degli alchimisti.
La Fenice pertanto simboleggia non solo l’eternità dello spirito ma anche tutte le morti e le rinascite che l’uomo compie in vita, dando così una possibilità alla propria evoluzione.
Morire e rinascere in vita significa abbandonare per scelta determinati atteggiamenti, azioni, situazioni e modi di pensare, poiché ci portano inequivocabilmente allo stesso risultato: la Fenice quindi è simbolo di forza e di resistenza fisica, prepararsi ad un probabile “fallimento” consapevoli della rinascita.
La fenice simbolo di rinascita
La leggenda narra che la fenice sia un uccello mitologico dalla straordinaria bellezza e dal canto melodioso. All’approssimarsi della morte si costruisce un rogo di legno e muore tra le fiamme per poi risorgere dalle sue stesse ceneri che successivamente trasporta in volo ad Eliopoli, l’antica città egizia dove sorgeva l’altare del Sole.
Fenice
La fenice è sicuramente l’animale più bello fra tutte le creature fantastiche e leggendarie. Adorna di penne di porpora e d’oro, colore del sole nascente, la fenice possedeva una voce melodiosa che prendeva accenti lugubri all’approssimarsi della morte. Le altre creature erano allora così soverchiate dalla sua bellezza triste, che cadevano morte a loro volta.
Secondo la leggenda, poteva esistere una sola fenice per volta, e dato che viveva in un unico esemplare, per riprodursi doveva ricorrere a una ben strana forma di partogenesi: rinasceva dalle proprie ceneri.
Allorché l’uccello sentiva arrivare la morte, si costruiva un rogo in legno di cinnamomo selvatico e moriva tra le fiamme. Ma dalle sue ceneri subito sorgeva una nuova fenice, che con tenerezza filiale raccoglieva le ceneri della genitrice in un uovo di mirra e le trasportava in volo ad Eliopoli, l’antica città egizia dove sorgeva il grande Altare del Sole, sul quale le depositava. Si raccontava che quelle ceneri possedessero il potere di richiamare in vita un morto. Il dissoluto imperatore romano Eliogabalo decise di mangiare carne di fenice, appunto per acquistare l’immortalità. Si cibò di un uccello del paradiso, che gli era stato imbandito sotto mentite spoglie. E infatti non ottenne l’effetto sperato: morì assassinato poco tempo dopo.
Gli studiosi moderni pensano che l’origine di questa leggenda vada ricercata in Oriente. Sarebbe poi stata adottata dai sacerdoti di Eliopoli, adoratori del Sole, come un’allegoria della quotidiana morte e rinascita dell’astro.
Come tutti i grandi miti, la storia della fenice tocca corde profonde nel cuore dell’uomo: gli artisti cristiani fecero della fenice un simbolo popolare della resurrezione del Cristo. Stranamente, il nome di questo mitico uccello deriva probabilmente da un errore commesso dallo storico greco Erodoto, che visse nel V secolo a.C. Riferendosi a questo uccello, nelle sue storie, lo chiamò Phoenix per il fatto che veniva di frequente raffigurato sopra una palma che in greco veniva appunto chiamata “phoenix”.
Ricapitolando…
La fenice nelle diverse culture
L’Antico Egitto
I primi a parlare di una leggenda simile a quella dell’araba fenice sono stati gli antichi egizi con la storia del Benu: si tratta di una divinità consacrata al Dio Ra, raffigurata come un uccello mitologico simile a un airone, che simboleggia il ciclo della nascita e della resurrezione dopo la morte.
La fenice per i greci
La fenice viene riproposta in seguito dalla letteratura della Grecia antica, rappresentata come un’aquila variopinta che risorgeva dalle proprie ceneri: prima di morire, costruiva una catasta di piante e vi si adagiava sopra, lasciando che il sole le bruciasse. Quando il fuoco si spegneva, dalle ceneri nasceva una piccola larva che, grazie al calore del sole cresceva per trasformarsi in una nuova fenice.
La fenice nelle culture della storia
L’araba fenice in letteratura: dalla Bibbia all’Inferno
La fenice viene nominata anche nella Bibbia e, più precisamente, nel libro dell’Esodo. La prima descrizione dettagliata di questo mitologico uccello infuocato si deve però allo storico greco Erodoto, secondo cui la fenice partiva dall’Arabia: è proprio da qui che nasce l’errata denominazione di “araba fenice”.
Anche Ovidio descrive a suo modo la fenice, come un uccello che vive 500 anni e dal cui corpo nasce un nuovo, giovane esemplare destinato a una vita altrettanto lunga. Mentre il primo bestiario cristiano, intitolato “Il Fisiologo”, dedica al volatile mitologico un intero paragrafo nel quale parla di “un uccello che vive in alcune zone dell’India” e che vive 500 anni per poi trasformarsi nel Salvatore Gesù Cristo quando muore e rinasce.
Un ulteriore ed illustre esempio della fenice in letteratura viene dall’Inferno di Dante: l’autore della Divina Commedia la cita nel XXIV Canto come esempio di animale in grado di morire e rinascere, contribuendo all’ancora attuale modo di dire “essere una fenice”, per indicare qualcosa di unico, introvabile e inafferrabile.
La fenice nella cultura orientale
La fenice è nominata praticamente in tutte le culture della storia del mondo: da quella assira, a quella inca, passando per la Russia e i nativi americani. Molto presente anche nella cultura orientale, la fenice è cara a cinesi, giapponesi e indiani.
In Cina, la fenice è chiamata Feng e rappresenta uno degli animali sacri che guidano il destino del paese, assieme alla tigre bianca (Bai Hu), all’unicorno (Ki-lin), alla tartaruga o serpente (Gui Xian) e al drago (Long). Secondo i cinesi, la fenice è simbolo di potere e prosperità e poteva essere sfoggiata soltanto dall’Imperatore e dall’Imperatrice.
In Giappone, la fenice è chiamata Ho-ho o Karura e simboleggia l’inizio di una nuova era: rappresentata come una gigantesta aquila ricoperta di piume d’oro e una corona di gemme magiche intorno alla testa, mentre sputa fuoco dal suo enorme becco.
Nelle culture buddista e induista, la fenice è chiamata Garuda ed è un essere mitologico con ali e becco di aquila, corpo umano, faccia bianca, ali rosse e corpo dorato: impersonifica uno dei supremi veggenti d’infinita coscienza e, secondo la leggenda, ha il potere di riportare in vita gli esseri viventi.
Significati simbolici della fenice
La fenice, simbolo di rinascita
L’araba fenice, o semplicemente fenice, è da sempre scelta come soggetto di tatuaggi per il suo significato simbolico di eternità dello spirito, di rinascita dopo la morte, di evoluzione che deriva dalla comprensione di ciò che è stato (la fenice, infatti, risorge dalle proprie ceneri).
La rinascita della fenice non è una semplice resurrezione a sè stante, ma porta con se un intensa simbologia di abbandonare per propria scelta il passato e le sue convinzioni, a favore di una nuova vita basata su diversi presupposti.
Simbolo di coloro che scelgono consapevolmente di evolversi, la fenice ha il significato di proseguire nella propria crescita spirituale senza restare immobili nelle proprie abitudini e nelle proprie convinzioni: è abbandonare la sicurezza della routine, in favore di una nuova vita sconosciuta ma ricca di nuove esperienze.
Curiosità sulla fenice
Nella cultura cinese esiste un detto che dice “splendore di drago e bellezza di fenice”: questo adagio si riferisce al massimo splendore e alla più alta dignità dell’uomo e della donna. In Cina, infatti, il drago rappresenta l’imperatore e la fenice incarna l’imperatrice, uniti indissolubilmente in un simbolo unico che rappresenta l’unione perfetta tra due poli differenti, ma complementari.
Oltre che in svariati esempi della letteratura classica e religiosa, la fenice è nominata anche nel libretto di Così fan tutte, opera scritta da Lorenzo Da Ponte e musicata da Mozart: riprendendo quasi fedelmente i versi di Metastasio, l’araba Fenice è descritta come “la fede delle femmine (…) che vi sia ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa”.
La fenice è protagonista di moltissime storie di manga giapponesi, come ad esempio I cavalieri dello zodiaco e Ken il guerriero. A proposito di zodiaco, non dimentichiamo che la fenice ha un posto anche nell’Astronomia con l’omonima costellazione dell’Emisfero Sud composta da 11 stelle e chiamata così da Johann Bayer nel 1603.
Con questi versi Dante descrive la Fenice, uno dei simboli più affascinanti della mitologia egizia: gli egizi identificavano questo maestoso airone con Bennu (dal verbo benu, “splendere”, “brillare”, “puntare al cielo”, “librarsi in volo”).
Consacrato al dio Ra, associato alle piene del Nilo (raffigurato come l’Airone che si posava sulla sommità delle rocce che sbucavano dopo l’inondazione del Nilo), il suo ritorno annunciava un nuovo periodo di ricchezza e fertilità.
Simbolo della nascita e della risurrezione dopo la morte, quindi dell’eternità della vita, secondo gli Egizi la Fenice era nata sotto l’albero del bene e del male, e sapeva che era necessario rinascere periodicamente per acquisire maggiore saggezza e potenza.
Volava quindi per tutto l’Egitto alla ricerca degli elementi più raffinati per costruirsi un nido: bastoncini di cannella, di quercia, nardo e mirra.
Al termine del suo ciclo di vita, lungo 500 anni, si sistemava nel suo nido, intonava una delle melodie più aggraziate che gli egizi potessero mai udire, per poi lasciare che i profumi le dessero una dolce morte mentre il sole bruciava gli arbusti, lasciandosi divorare dalle fiamme.
Tre giorni dopo, Fenice rinasceva dalla cenere piena di forza e potere, prendeva il suo nido e lo lasciava a Eliopoli (secondo un’altra versione la cenere, assieme alla mirra, prendeva la forma di un uovo), nel Tempio del Sole, per iniziare così un nuovo ciclo che fosse una fonte d’ispirazione per il popolo egiziano.
Come l’airone che spiccava il volo sembrava mimare il sorgere del sole dall’acqua, la Fenice venne associata col sole e rappresentava il ba (“l’anima”) del dio del sole Ra, di cui era l’emblema, tanto che nel tardo periodo il geroglifico del Bennu veniva impiegato per rappresentare direttamente Ra.
Si dice che il Bennu abbia creato sé stesso dal fuoco che ardeva sulla sommità del sacro salice di Eliopoli. Proprio come il sole, che è sempre lo stesso e risorge solo dopo che il sole “precedente” è tramontato, di Fenice ne esisteva sempre un unico esemplare. Da qui l’appellativo “semper eadem“: sempre la medesima.
Quale simbolo del sole che sorge e tramonta, la Fenice presiedeva al giubileo regale. Ed essendo colei che ri-sorge per prima, venne associata al pianeta Venere, che appunto veniva chiamato “la stella della nave del Bennu-Asar”, e menzionata quale Stella del Mattino nell’invocazione:
“Io sono il Bennu, l’anima di Ra, la guida degli Dei nel Duat. Che mi sia concesso entrare come un falco, ch’io possa procedere come il Bennu, la Stella del Mattino… cantando così divinamente da incantare lo stesso Ra.” (1)
La simbologia della Fenice, con la sua vittoria sulla morte e la rinascita dalle proprie ceneri, ben si addice alla figura di Gesù Cristo, presumibilmente per via del fatto che tornava a manifestarsi tre giorni dopo la morte, e come tale venne adottata quale simbolo paleocristiano di immortalità, resurrezione e vita dopo la morte.
La simbologia dell’airone purpureo (dal greco Φοῖνιξ, Phoenix, “rosso porpora”) degli Egizi è collegata ad una delle tre fasi della Grande Opera dell’alchimia, la Rubedo, su cui tanto si è focalizzato il pensiero di Carl Gustav Jung.
La Fenice rappresenta la fase finale del processo alchemico e gli alchimisti riposero in essa il significato della spiritualizzazione completa, della rinascita della personalità, risultato finale della Grande Opera.
Essendo la Fenice capace di elevarsi dalle ceneri della propria distruzione, rappresenta il congiungimento dell’inizio e la fine di ogni ciclo. Il compimento della Rubedo segna la realizzazione della Pietra Filosofale, una sostanza in grado di conferire l’immortalità, di acquisire l’onniscienza e di trasmutare i metalli vili in oro.
Le trasmutazioni alchemiche rappresentano una metafora dei cambiamenti che avvengono nell’ambito dell’interiorità umana. In questa prospettiva la Rubedo rappresenta l’accettazione da parte dell’individuo dell’ombra e delle sue contraddizioni più profonde.
Carl Gustav Jung ha evidenziato che la Fenice, per le caratteristiche ben note, simboleggia il potere della resilienza, l’ineguagliabile abilità di rinascere molto più forti, coraggiosi e luminosi.
Jung ha dunque descritto l’ultima fase del processo alchemico come la piena realizzazione del processo di individuazione, finemente associabile al simbolo della Fenice che grazie alla distruzione della sua “vecchia natura” è ora libera di rinascere con uno spirito rinnovato e reso sottile, etereo, dalle fiamme trasmutanti e sublimanti del fuoco.
C’è una locuzione latina che viene assimilata all’immagine della Fenice: “Post Fata Resurgo”, che si può tradurre “Dopo la Morte Risorgo”: l’immortalità non si fonda sulla negazione della morte ma sulla sua potenza rigeneratrice attraverso lefiamme purificatrici. Il potere della Fenice deriva quindi non dall’annullamento del declino ma dalla sua capacità di accoglierlo e di trasformarlo, o meglio, trasmutarlo per usare un termine proprio degli alchimisti.